giovedì 28 aprile 2016

CARA PROF di Teresa Regna

Cara Prof,
scusa se ti do del tu, ma oggi proprio non posso farne a meno.
Ricordi quando mi avvicinavo alla cattedra, prima della lezione, per confidarti le mie pene? Avevo dagli undici ai tredici anni, e i futili problemi di ragazzina mi sembravano insormontabili ostacoli sulla strada della vita.
Pur essendone consapevole, tu mi incoraggiavi, mi elargivi con generosità dei consigli preziosi, mi tiravi su il morale con le tue parole piene di buonsenso, mai con condiscendenza, ma sempre con affetto sincero.
E con affetto sincero ti ricordo: ti invio gli auguri ad ogni festa comandata, e ti scrivo delle lettere. Mai come questa, però. Questa è una lettera speciale, che ribadisce ciò che già sai, ma che di tanto in tanto potresti aver dimenticato, o ignorato. Le chiacchiere sui miei ex compagni di classe con cui riempio le lettere sono un modo per testimoniarti ancora la mia stima e il mio affetto, immutato come se non fossero trascorsi tanti, troppi anni.
Sei l’unica persona, oltre me, a possedere la mia bibliografia completa, incluse le antologie di cui ho preso soltanto due copie, una per me e una per te. Conosci bene il motivo: mi hai sempre incoraggiato a scrivere, da quando ti presentai un tema con degli improbabili omini gialli che vivevano in costruzioni piramidali fino al ‘libretto’ che veniva consegnato agli alunni dopo la licenza media.
Il mio primissimo romanzo, ‘Quelli della III C’, che parlava delle esperienze e dei sogni di tredicenni degli anni ’70, della nostra classe e dei nostri insegnanti, andò disperso perché ci tenevo che lo leggessi: la tua approvazione era tutto per me. Te lo mandai tramite un’amica, e non ho mai nemmeno saputo se sia andato perso prima o dopo che tu lo abbia letto. Oggi lo considererei di sicuro abominevole, scritto con lo stile di un’adolescente sull’onda di ricordi ancora freschi che facevano bene al cuore, ma mi sarebbe piaciuto poterlo conservare, per discuterne con te.
Per ricordare, insieme, le vicende accadute e l’affetto che ci legava. Che ci lega tuttora.
Sono stata fortunata: ho avuto dei buoni insegnanti. Non sempre, ma spesso. Alcuni ottimi, come te.
Ho cercato di fare tesoro non soltanto dei tuoi insegnamenti, ma soprattutto del tuo insegnamento: ama ciò che insegni, ama le persone alle quali insegni. Non ancora adulti, ma nemmeno bambini, che a volte studiano per compiacerti, altre si ribellano all’autorità che rappresenti. Chiedi molto, ma dai altrettanto. Sii tollerante, ma poni dei limiti alla tolleranza.
Cerco di seguire il tuo esempio, e quello dei docenti in gamba come te, ora che sono anch’io prof. Con la minuscola, perché non posso paragonarmi a chi è riuscita a farmi amare persino il latino. A volte mi scoraggio, altre mi galvanizzo; faccio quello che posso. A disposizione, per ciascuna classe, ho tre ore settimanali, il mio bagaglio di conoscenze e l’affetto che, nonostante tutto, mi lega a quegli strani esseri comunemente chiamati adolescenti.
Ti rivedo ancora, con la tua torre di capelli neri (la ‘cofana’, direbbe la Marchesini), spiegare che le mani corte significano scarsa propensione alla generosità (parlavamo di qualsiasi argomento: erano gli anni ’70). Confondendo corte con piccole, ti mostro le mie mani, e ottengo la rassicurazione in cui speravo. Non ci siamo capiti, non parlavo di mani come le tue, ma tozze. Sospiro di sollievo da parte mia, sorriso dolce da parte tua.
Non c’era nessun collega, all’epoca, a consigliare agli altri di non sorridere, come è successo a me. Si parlava, si discuteva: politica, problemi sociali (non addomesticati, come accade oggi), religione. I Prof come te insegnavano agli alunni a pensare. Ne ho incontrato degli altri, anche all’Università. ‘Help me to think’, chiedevo loro, e venivo ascoltata. Come mi ascoltavi tu, la prima della serie.
Ti ricordo ancora, bella come una giornata di primavera, chiedere la penna o assegnare i compiti per casa in francese. A noi, alunni del primo corso a scegliere come lingua straniera l’inglese.
Rivedo la tua gonna longuette svolazzare nel vento mentre fai lezione in cortile, al centro di un gruppo di ragazzi seduti sul muretto, che pendono dalle tue labbra.
Rivedo il tuo sorriso cancellare le mie angosce adolescenziali, la tua mano dalle lunghe dita fluttuare mentre spieghi con parole semplici un argomento particolarmente ostico, riuscendo a farlo penetrare nelle nostre menti.
Mentre ripenso al nostro rapporto, lungo tre anni, non posso fare a meno di ringraziarti ancora una volta, da prof a Prof. Tu con la maiuscola, come maiuscola sei stata per noi della III C e per tanti altri alunni che hanno avuto la fortuna di incontrarti lungo il loro cammino.
Con immutato affetto e stima, ti saluto.

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