mercoledì 13 aprile 2016

QUANTI ANNI HO? Di Francesco Bisesti


Festa di compleanno, il venticinquesimo per l’esattezza; ovviamente non è il mio ma quello di mia figlia Francesca.
Banalmente dovrei prorompere nella più stupida e scontata delle considerazioni: come passa il tempo! Se mi esimo dal farlo è solo per una questione di pudore: non mi va di pensare ai miei anni o a quelli che mi rimangono. Preferisco vivere oggi quello che, colpevolmente, avevo omesso di vivere ieri. Del resto non credo di essere né il primo ma nemmeno l’ultimo di quei genitori che, presi da mille altre cose, non sono riusciti a godere fino in fondo della gioia di avere dei figli, di goderseli da piccoli quando si aspettavano di ricevere una carezza e di sentirsi protetti. Cercare di farlo ora, quando sono ormai cresciuti, ha tutt’altro sapore perché la protezione che si aspettano, e che spesse volte si finisce inevitabilmente col concedere, assomiglia molto più alla complicità.
Mi piace però, oggi, riflettere su una cosa: per quanti compleanni dei miei figli ho memoria ancora viva, non altrettanto posso dire dei miei. Di certo non ho alcun ricordo del genetliaco nel quale mi ritrovavo a festeggiare i miei venticinque anni mentre l’unico, di cui ho ancora memoria, è invece quello dei miei quarant’anni.
Quanti anni ho? E’ la tragica domanda di una celebre canzone di Adelmo Fornaciari, ed è la stessa che mi rivolgo quando mi accorgo del tempo che passa. Stupida domanda che, a volte, sarebbe meglio non farsi. Del resto a che scopo? Sei vivo, ed è questo che conta. Il guaio è che, talvolta, ci si sente morti dentro e non c’è condizione peggiore.
Meno male che a ricordarmi la vita ci sono loro che di compleanni hanno la forza e la voglia di festeggiarne ancora, allungando la lista di quelli di cui serberò per sempre il ricordo. Già, i ricordi: quelli che si conservano come racchiusi in una piccola scatola. La mia scatola di fiammiferi, dalla quale posso tirarne fuori uno e accenderlo ogni volta che voglio; accenderlo e lasciarlo bruciare, consapevole del fatto che potrò bruciarne ancora. Quando vorrò potrò sempre riaccenderne un altro e rivivere nel ricordo quegli attimi, quelle sensazioni, quegli sguardi e quelle piccole gioie che abbiamo imparato a scambiarci talvolta anche in silenzio.
Già, in silenzio. Non sono mai stato molto loquace, fino al punto da oscurare del tutto i sentimenti provati e creando magari imbarazzo. La mia è una strana testa: una folla di pensieri che ho sempre voluto far apparire come uno sparuto insieme, un groviglio di idee troppo spesso confuse tra loro, un ammasso informe di conclusioni sbagliate che, inevitabilmente, mi hanno portato a sbagliare nella vita non senza intaccare anche la loro.
A che serve implorare il perdono? Uno stato confusionale è sempre patologicamente involontario mentre le sue esternazioni costituiscono ogni volta il libero affermarsi della follia umana. 
Nella mia scatola di fiammiferi c’è dentro la mia vita ma ci sono anche le loro, i loro compleanni, le loro ansie e i loro piccoli problemi, c’è tutto. Un folle, quasi sempre, ha buona memoria e il povero Nerone, forse, proprio per dare spazio ai suoi ricordi si ritrovò colpevole dell’incendio di Roma!  

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