venerdì 8 aprile 2016

IL DADO di Paolo Secondini

Ecco, lo vedo!
Germoglia presso una quercia nel bosco. Un dado. Bianco coi punti neri.
Affiora dal terreno: un fungo cubico.
Sul lato rivolto verso l’alto ha il sei.
Osservo gli altri lati.
Su uno, il tre.
Sull’altro, il cinque.
Sull’altro ancora, il quattro.
Infine, il due.
Il sesto lato non si vede. Poggia sul terreno. Lo scopro… Uno.
Dovevo immaginarlo.
Prendo il dado.
Lo pulisco alla meglio del terriccio; ci soffio sopra; poi lo agito nel pugno, ma non stretto, questo, da impedire al dado di andar di qua e di là contro le pareti della mano. Infine lo lancio. Rotola tre volte…
Uno.
È uscito l’uno!
Poco, pochissimo… il minimo.
Raccolgo il dado. Lo agito ancora nella mano chiusa. Un altro lancio…
Uno.
Di nuovo l’uno!
Riprendo il dado, lo lancio più lontano, perché rotoli più volte sul terreno…
Uno.
Inesorabilmente l'uno!
Resto a osservare il dado, quel suo punto nero e tondo che sembra fissarmi come un occhio.
Crollo la testa, mentre penso alla sfortuna.
Tre lanci, tre uno!
E se invece fosse l’inverso? Voglio dire: fortuna?
Dipende dai punti di vista, ovviamente.
Insomma: sfortuna o fortuna?
Sto per lanciare ancora una volta. Mi trattengo all’ultimo momento, la mano sospesa nell'aria.
No!
Non sarei più (s)fortunato... se uscisse un numero diverso.
 

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