lunedì 4 aprile 2016

SOLTANTO UN AMORE DI MEZZO di Laura Silvestri

Si dice che il primo amore non si scordi mai. Anche l’ultimo, naturalmente, non corre il rischio di venire dimenticato. Sono gli amori di mezzo quelli che soffrono dello scorrere del tempo, che cerchiamo di nascondere in un angolo della memoria, quasi senza accorgercene. Sono errori che il nostro cuore preferisce allontanare, occasioni perdute che ci ricordano cosa non avremmo dovuto fare, o cosa avremmo dovuto dire di più. Sono il racconto che ci fa provare la stilettata della vergogna, o il morso della rabbia, o ancora il senso di vuoto di una fame che non è stata mai saziata. Gli amori di mezzo sono cicatrici, sono crepe nelle nostre fragili mura.
Quasi sempre.
In alcune rare volte, invece, gli amori di mezzo ci sorprendono: dopo averli abbandonati, ci guardiamo indietro e li ritroviamo completi, storie chiuse in loro stesse e colme di vita come gocce di pioggia, la cui promessa di felicità è scivolata via a un passo appena da noi, senza farci male. Ma sono amori rari, questi, da rimanerne incantati, domandandoci perché non proviamo rabbia, perché tutto ciò che resta è una vaga nostalgia, nonostante tali storie non possano beneficiare dell’indulgenza con cui si guarda al primo amore.
Ricordo ancora quell’estate di tanti anni fa. Ero giovane, incerta, e desiderosa di lasciare il mio stesso cuore alle spalle in attesa di tempi migliori. Non avevo bisogno di un nuovo amore: il primo si era sciolto come neve al sole soltanto qualche mese prima; il secondo, poco dopo, era nato male e finito peggio. Non cercavo qualcuno da sognare, al quale dedicare i miei pensieri nelle notti insonni. Non volevo nulla a parte il sollievo del mare, e quello, più leggero e imprudente, di un’estate passata con le amiche all’insegna della vanità. Sembrava tutto così semplice: lui era già lì, come il personaggio di una commedia da inscenare. Era quanto di più simile a un marinaio potesse esistere nella scenografia della mia vita. Di certo, da marinaio dovevano essere le sue promesse: era un bagnino su una spiaggia affollata, circondato da tante ragazze quante un giovane uomo ne avrebbe potute desiderare. Cosa mai avremmo potuto avere in comune? Perché avrei dovuto fidarmi di lui? Ci avvicinammo nel più usuale dei modi, fra canzoni sulla spiaggia attorno a un falò, serrando il nostro nodo al mattino con sguardi fugaci fra le dita che riparavano dal sole d’agosto. Perché avrei dovuto starlo ad ascoltare, quando tutto ciò che desideravo era che mi facesse sentire bella, e viva? Non mi pareva amore: era, per me, lo strumento della rinascita, il gioco con il quale passare un’estate, l’avventura che spazzava via insicurezza e malinconia. Era ciò di cui spettegolare con l’amica del cuore mentre ci si sistemava i capelli a vicenda prima di andare a ballare.
Lui era proprio quel che avrebbe dovuto essere: sabbia fra le dita e nel costume, sapore di salsedine e odore di mare, di birra, di gioventù. E anche io lo ero. Ero l’inconsapevolezza dei vent’anni, la solitudine ingoiata a forza assieme a un tiro di fumo, il pensiero che l’autunno fosse troppo vicino. Finimmo insieme senza motivo, come foglie cadute portate dalla corrente. Passammo le notti sulla spiaggia, aspettammo l’alba parlando di sciocchezze, deridendo il nostro futuro per esorcizzare la paura di crescere. Eravamo liberi e vivi, immortali. Eravamo nulla.
E quell’ultimo mattino di settembre fu difficile affogare i pensieri, quasi impossibile ignorare che l’autunno ci aveva infine raggiunti e afferrati ed era lì, di fronte a noi, nel cielo rosso. La vita da adulti ci aspettava, ai nostri occhi scarna e grottesca come una megera ghignante. In quell’ultimo istante di splendida, acerba imperfezione lui aveva qualcosa da dire, ma io non volevo ascoltarlo. Del resto, cosa avrebbe potuto mai raccontare, che io già non sapessi? Di certo avrebbe sussurrato che ci eravamo divertiti, che era stato un bel gioco, finché era durato. Sarebbero state quelle, le parole appropriate. Non era andata proprio così, dopotutto? I patti, seppur inespressi, erano stati da subito molto chiari: lui era il marinaio, io la ragazza nel porto che non avrebbe più visitato, e tanto era bastato. Io ero stata sua, e lui mio, ma non ci eravamo mai appartenuti davvero. Per questo, quando lui parlò, quell’ultimo mattino insieme, io non lo ascoltai. Colsi solo qualcosa che somigliava a un “andiamo”, e annuii con determinazione, iniziando a schiaffeggiare via la sabbia dalle gambe nude. “Sì, andiamo”, ribadii, senza degnarlo di uno sguardo.
“Non ho detto andiamo”. La sua voce suonò in qualche modo diversa, e mi fece rimanere immobile per un istante.
“E allora cosa hai detto?”. Non volevo saperlo, ma non potei impedirmi di domandare lo stesso. Conoscevo la risposta prima ancora che lasciasse le sue labbra… ma non poteva che essere una bugia. Doveva essere una bugia.
“Ho detto… ti amo”.
“Sì, come no?”. Non mi conoscevo una voce tanto dura. Non sapevo neppure da dove mi venisse. Ma non potevo concedermi il lusso di credergli, non quando l’autunno era ormai arrivato. “Non hai bisogno di blandirmi. Quel che è fatto, è fatto. Va bene così”.
Quando alzai gli occhi nei suoi, la sua espressione parve chiedermi scusa. Si strinse nelle spalle, accennando un vago sorriso, e voltò il capo, legando i capelli in una coda. Era tutto finito, prima ancora che potesse iniziare. Il giorno dopo io ero di nuovo in città, e lui sul primo treno per casa sua, distante centinaia di chilometri.
Per mesi mi ripetei che avevo fatto e detto la cosa giusta. Per lunghe notti rimasi sveglia a convincermi che dovesse aver sussurrato quelle sciocche parole a un’altra dozzina di ragazze in quella sola, ultima settimana. Mi chiesi perché lo avesse fatto, perché non avesse potuto lasciare che tutto scorresse liscio come avrebbe dovuto, perché avesse dovuto cercare di legarmi a sé con un nodo da marinaio che non aveva alcun diritto di intrecciare. Ma soprattutto, perché fosse stato tanto crudele da salutarmi regalandomi quell’ultimo dubbio, quel tormentoso “
e se fosse stato sincero?”
Compresi di essermi innamorata quando lui non era ormai altro che un ricordo, e fu come se la sabbia che aveva nascosto i miei sentimenti venisse spazzata via dal gelido vento invernale, lasciando emergere un disegno che non avevo potuto immaginare. Tutto si fece chiaro, e il cerchio si chiuse con precisione: più riguardavo quelle nostre poche foto, e meno c’era da capire. Eravamo stati felici insieme, abbracciati sul bagnasciuga, con il naso in aria. Più felici di quanto non fossimo preparati a essere, più di quanto io non credessi di meritare. Le nostre mani erano state sincere nel cercarsi e stringersi, ma le mie erano state troppo piccole allora, e troppo stanche, per contenere quell’amore inatteso.
Sono passati molti anni, e non so cosa sia stato del mio marinaio. Ma so che non provo dolore, né vergogna, quando ripenso a quell’estate da ventenne, con la sabbia fra i capelli e la sua pelle sotto le dita.
E quando mi guardo indietro, attraverso un lungo tempo e un ancor più grande spazio, mi sorprendo ad augurargli ogni bene, a sperare che ogni suo sciocco sogno da ragazzo, raccontato alle stelle su quella spiaggia silenziosa, sia stato esaudito: che egli abbia girato il mondo, imparato cento lingue, amato molte donne, e bevuto, fumato, cantato a sazietà.
La piccola goccia di pioggia che siamo stati noi due, insieme, è nata e vissuta nel respiro di un’estate. Il nostro è stato soltanto un amore di mezzo, di quelli per i quali non si sprecano parole, non si scrivono poesie, non si cantano canzoni.
Ma questa pagina è per lui, per il mio marinaio, per le sue promesse e per le sue risate. Per lui che è svanito senza rancori, senza dolore. Lui, che sarà sempre giovane nella mia memoria, sempre al centro di quel ricordo abbandonato, nascosto nella mia gioventù come una bianca conchiglia da portare all’orecchio per riscoprire il rumore del mare.

2 commenti:

  1. Molto bello questo racconto di Laura: soave, avvincente, sentimentale, soprattutto ben scritto.

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  2. Grazie mille, Paolo, per le belle parole che hai avuto per il mio racconto. Essere di nuovo ospite del tuo blog è un vero piacere.

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