Il 16 agosto 1978, giorno di San Rocco,
era mercoledì.
Aria umida e calda stagnava nel
fondovalle. Pur con un cielo poco
limpido, la giornata si poteva considerare bella. Si respirava in pieno
l’atmosfera ferrogostana: pochi avevano ricominciato le loro attività
lavorative.
Dopo averci pensato tutta la mattina,
Giuseppe aveva preso la decisione. Sarebbe andato a casa di Aurelia.
Ora la meta era Lovero.
Procedeva a cavallo della sua Vespa bianca, lungo la statale. Non
c’era molto traffico: più che altro auto di vacanzieri in entrambe le
direzioni.
Durante quel viaggio di trenta chilometri,
ogni tanto pensava che forse stava commettendo una fesseria. Presentarsi così,
a casa di quella ragazza, richiedeva certamente una giustificazione. E quale
poteva essere se non quella legata al nuovo sentimento che provava per lei?
Qualsiasi altra sarebbe suonata del tutto falsa o puerile.
Si sentiva come colui che avesse imboccato
un vicolo cieco. Pur pensando che all’ultimo momento avrebbe potuto non
presentarsi alla porta di lei, si sentiva mosso da una strana forza interiore.
Non volle arrivare con lo scooter davanti
all’abitazione di Aurelia. Decise di lasciarla nello spiazzo antistante il
municipio.
Non c’era anima viva per le vie del paese.
Era quella che nel meridione chiamano la controra, verso le tre. L’aria era
particolarmente stagnante. Gli abiti si appiccicavano al corpo. Su un albero,
dietro la villetta di Aurelia, cantava una cicala.
Mosso ormai da un coraggio che gli veniva
dal profondo del suo essere, Giuseppe varcò il cancelletto e andò a suonare il
campanello.
Il tempo che passò gli parve interminabile.
Si sentì come sospeso in una dimensione che ospitava lui solo. Poi qualcuno
venne ad aprire.
– Ciao – disse Giuseppe alla bambina
(poteva avere sei anni), che lo guardava dal basso in alto.
– Chi sei? – fece lei con una vocina un po’
ovattata.
Il
cuore gli pulsava a cento. Dopo un attimo di esitazione, disse:
– Sono un amico di Aurelia. È in casa?
Allora la bimba si girò verso la breve
rampa di scale alla sua destra. – Tataaa! C’è un signore che ti vuole.
– Mi
chiama Tata. È Micol, la mia nipotina – disse Aurelia. – Mi è molto
affezionata.
Era trascora un’ora dall’arrivo di
Giuseppe. Erano seduti sul muretto che delimitava il terreno che circondava la
casetta. Micol giocava nell’erba con una bambolina e ogni tanto lanciava
occhiate curiose sui due giovani.
Poco prima, Aurelia lo aveva presentato ai
suoi genitori con allegra naturalezza. – È un mio carissimo amico di Sondrio. Mi
ha fatto una sorpresa. – Poi, rivolta a lui: – Mi stavo davvero annoiando.
Questo paese oggi è un mortuorio. Chi ha la baita se n’è andato in montagna.
Solo noi stiamo qui a cuocere.
Era molto carina. Nonostante il caldo
appariva fresca e briosa. Indossava una gonna lunga e un po’ stretta, abbinata
a una camicetta bianca con il colletto di pizzo. I capelli ondulati le cadevano
graziosamente sulle spalle. Una frangetta le copriva a tratti la fronte.
Poi disse – Se mi porti con la Vespa, ti faccio vedere il paese e i
suoi dintorni.
– Okay – disse Giuseppe.
– Vado a mettermi i jeans. Aspettami qui
con Micol.
Adesso correva lungo la statale, verso
Sondrio. Giuseppe non si accorgeva di tenere una velocità piuttosto sostenuta,
mentre i pensieri gli turbinavano nella mente. Ed erano pensieri estremamente
positivi, fatti di allettanti prospettive e del ricordo di quel pomeriggio con
Aurelia.
Gli aveva fatto yedere la chiesa dove era
stata battezzata, i frutteti di suo padre, la contrada di Santa Maria e la
chiesetta antica di Sant’Alessandro. Gli era apparsa gioiosa, e a un certo
punto, prendendogli una mano, gli aveva detto: – Sono contenta che sei venuto a
stanarmi da questo buco di paese. Ma… ti confesso che non me lo sarei mai
aspettato.
Ma non era del tutto vero, secondo
Giuseppe. Lei, forse, si aspettava che lui facesse una mossa come quella.
Inconsciamente, Aurelia sapeva che “il carissimo amico di Sondrio” era
destinato a diventare qualcosa di più che un amico.
Rallentò, sorridendo.
Il suo cuore si era calmato, cantava di
gioia.
Autentico.
RispondiEliminaAutentico, sì... e molto ispirato
RispondiEliminaCiao, Giuseppe.
Paolo