venerdì 12 febbraio 2016

IL SUONO DEGLI ZOCCOLI di Francesco Bisesti

Se c’era una cosa che aveva un fascino particolare, e che suscitava in me allegria e gioia di vivere, era il ticchettare degli zoccoli dei passanti lungo via Agrippina: quella stradina che, a Bacoli, porta da via Roma fin giù al mare attraverso quella che oggi è conosciuta da tutti come via della Spiaggia.
Non che sia cambiato molto da allora: le casette si spingono ancora a curiosare sulla strada lungo l’intero tragitto, le piante odorose di oleandro e i colori delle bouganville ti accompagnano quasi fin sulla riva. Una cosa certamente è diversa: il selciato. In luogo dei sampietrini di oggi, il fondo stradale che ricordo era allora una amalgama, di colore grigio chiaro, fatta di cemento e ciottoli di fiume che, senza spigoli, affioravano delicatamente in superficie creando piccoli dislivelli. Era soltanto questa la ragione per la quale gli zoccoli di legno producevano quel gradevole suono che, puntualmente, ogni anno che passava, serviva a ricondurmi - alla fine di un anno scolastico - all’inizio della vacanza e di un lungo periodo di svago e di meritato riposo.
I richiami epici dell’Eneide e dell’Odissea, che permeano quel territorio, pur intimamente riconosciuti, venivano chissà perché espulsi e messi completamente da parte per non distrarre la mente da quanto ti si affacciava intorno: dalle nuove amicizie che potevi stringere, al divertimento e poi alle prime avventure sentimentali che non tardarono presto a succedersi l’una dietro l’altra.
La stradina iniziava in una leggera curva di via Roma - poco più avanti della cantina di Tobia - e proseguiva in una discesa mediamente ripida che dal centro del paese conduceva gradatamente al mare ai bagni del vecchio Quintilio, gestore di una sorta di stabilimento balneare fatto di assi di legno ove l’unico servizio era quello di avere riservate due sedie a sdraio sotto un mini ombrellone scolorito dal sole e un piccolo bar per rinfrescarsi nelle ore di maggiore calura. Le cabine per spogliarsi e per stipare i costumi, i canotti e i giochi da spiaggia erano anch’esse in legno e si potevano contare. Saranno state una ventina in tutto, forse, dotate di tavolini a doghe di pessimo legname, muniti di seggiole che, dopo un po’ che ci eri rimasto seduto, finivi col culo a strisce per i segni che gli spigoli vi imprimevano dolorosamente fin dalla prima mezz’ora.
Al bar di Quintilio, che sorgeva su una mini impalcatura dalle fondamenta in tronchi d’albero che affondavano nel mare, il pavimento in assi di legno era impercorribile a piedi nudi a meno che non si fosse disposti a rischiare che un alluce rimanesse prima o poi miseramente infilzato da qualche scheggia e qui, non per il rischio implicito, mi era consentito di accedere, nemmeno tutti i giorni, per comprare un ghiacciolo al prezzo non superiore alle venti lire.
Ma questo, alla fine, contava veramente poco. Era il resto, il contorno che rendeva felice l’animo, la compagnia e spesso l’allegria dei vicini di ombrellone e di Adriana, una stecca da biliardo dal viso dolcemente mascolino e impertinente, che riempivano il trascorrere lento dei giorni che però troppo presto finivano riportandoti al tuo vicolo di sempre.
Da bambino partivo ogni mattina, bardato di costume, salvagente, palette e formine puntualmente affidate al trasporto di mia madre in una borsetta di plastica, percorrendo sempre lo stesso tragitto nell’attesa di svoltare quel famoso angolo di strada. Il percorso rimase lo stesso anche nell’adolescenza ma, in questa fase, avanzavo con gli zoccoli ai piedi e le mani assolutamente libere, per sentirmi maggiormente partecipe di quel meraviglioso concerto.
La discesa al mare si riproponeva ogni volta con l’accompagnamento del ticchettio degli zoccoli, del profumo delle piante e di quello di una pasticceria non lontana che sfornava ciambelle a tutto spiano.
Le sensazioni erano sempre, piacevolmente, le stesse: l’ascolto e il partecipare alla raccolta di quegli odori come per fare il pieno di ricordi. Un pieno gratuito e di grandissimo valore!
Scendere verso il mare era come ascoltare una musica alla quale finiva per aggiungersi presto il suono della risacca che concludeva un’opera in cui gli zoccoli impartivano sempre, immancabili, la loro meravigliosa ouverture.

2 commenti:

  1. Un cordiale benvenuto a Francesco, con il suo bel racconto di ricordi, sulle pagine di Nuova Letteratura.
    Paolo

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    1. Grazie Paolo e complimenti per il blog sul quale ho avuto l'onore e il piacere di essere ospitato.

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