I
- Domani devo andare a Tirano, con il carro –
annunciò Giacomo.
- In te, non ci andrei – disse Dino.
- Perché?
- Perché domani passa il Pippo.
- Ma è passato ieri.
- No, ti sbagli: l’altro ieri.
Giacomo divenne pensieroso, estrasse dalla
logora giacca un sacchetto di tabacco e le cartine. Silenziosamente si preparò
una sigaretta, mentre l’amico guardava nel bicchiere semivuoto che teneva fra
le mani. Solo due lampadine illuminavano il locale. Nella piccola osteria,
quella sera di novembre, non c’erano che loro due, come avventori.
La Carla, una ragazzetta di dodici o tredici
anni, stava al banco e asciugava pigramente dei bicchieri. Dopo l’ora di cena
ci sarebbe stato più movimento. Il coprifuoco non interessava un paesino come
Stazzona.
- Ma! – fece Giacomo, dopo avere acceso la
sigaretta. – A pensarci bene, che cosa me ne frega del Pippo?
Dino vuotò il fondo del bicchiere, fece
schioccare la lingua e disse:
- Ah, certo, non sei un obiettivo militare,
ma con quello non si può mai sapere.
Giacomo scrollò il capo. - Un carro trainato
da un cavallo che sta in piedi per pietà e misericordia…
- Ma il Pippo mitraglia tutto quello che si
muove.
- Solo quando gli gira, però.
Dino strinse le labbra, dubbioso.
- La settimana scorsa – disse ancora Giacomo
dopo un prolungato silenzio, - è passato e ripassato sopra il treno, dalle
parti di Chiuro, ma… niente.
- Forse non aveva più munizioni.
- O si è limitato a fotografare.
- Beh, può essere. Infatti dicono che è un
ricognitore.
- Parte dalla Toscana, o giù di lì. E viene
a rompere le scatole qui da noi.
- Probabilmente deve tenere sotto controllo
questa zona di confine
- E all'occasione dare man forte ai
partigiani del Mortirolo.
Giacomo portò alle labbra il suo bicchiere
che non era stato ancora intaccato. Mandò giù un sorso di vinello e aspirò
un’avida boccata di fumo.
- Io a Tirano ci devo proprio andare –
disse. – È un bel carico di legna che devo consegnare ai due vecchi Gosatti,
altrimenti moriranno di freddo, quest’inverno. È già bella e pronta per essere
messa nel fuoco. E i soldi che mi daranno in cambio servono per il vestiario, a
me, alla mia Maria e alle mie figlie.
- Gosatti, il professore? – volle sapere
l’amico.
- Sì, è il Gosatti Pietro, professore alle
Magistrali, in pensione. Adesso scrive libri, dei bei libroni sulla storia di
Bormio e di Tirano.
- Ah, sì, un cervellone! – sentenzia Dino.
- Conosce mia moglie, perché anche lei è di
Tirano… ed è una sua lontana parente.
- E tu gli fornisci la legna.
- Della mia selva lungo l'Adda. Poca roba,
ma buona – assicurò Giacomo.
- Ah, ti credo: robinie e castagni.
Giacomo spense il mozzicone nel logoro portacenere
e si mise le mani in tasca.
Sbuffò.
Dino si era messo a giocherellare con il
bicchiere vuoto.
II
Il mattino dopo, faceva un freddo cane. La
brina imbiancava i prati. Dai tetti delle case uscivano pennacchi di fumo azzurrognolo.
Un sottile banco di nebbia avvolgeva il paesello.
- Ti ho preparato il chiscio - disse Maria,
vedendo entrare il marito nell'ampio locale affumicato che faceva da cucina e
da soggiorno. Nell'angolo c'era un vecchio e nero camino, con un fuoco che
scoppiettava allegramente.
Giacomo si sfregava le mani, stringendosi
nelle spalle, tutto infreddolito. - Brava, Maria, sento l'odore.
- Tutto a posto?
- Sì, ho attaccato il cavallo. Fra mezz'ora,
al più tardi, mi metterò sulla strada.
Maria stava scodellando la tonda frittella
di grano saraceno, cotta nel grasso di maiale. Mandava un buon odore, grazie
alle croste di formaggio che si erano abbrustolite in superficie.
- Mi ci vuole, questa mattina - fece Giacomo,
sedendosi. Dedicò a Maria uno sguardo di riconoscenza.
Sua moglie era diventata magra come una
saracca, ma possedeva due gambe muscolose che reggevano un corpo ancora
flessuoso. Le era affezionato, la chiamava scherzosamente "la mia vecchia
ciabatta"; e se lei fingeva di offendersi, la prendeva per un braccio e le
appioppava una bella pacca sul culo ancora sodo.
Giacomo cominciò a mangiare il chiscio,
rompendolo a pezzettini con la forchetta. Era buono e lui masticava con gusto.
- Elisabetta dorme ancora? – domandò con la
bocca piena. Era la figlia preferita, una graziosa ragazza di diciassette anni,
la più piccola.
- Sì - rispose Maria. – È ancora a letto con
la nonna.
L'altra, Gabriella, una ventenne già
fidanzata, si era alzata da un pezzo. Lui l'aveva vista nel pollaio, pochi
minuti prima. Gli aveva sempre fatto una certa soggezione, con quel suo fare
serio e scontroso. Non vedeva l'ora che si maritasse.
- È buono questo chiscio.
- L'ho fatto con la farina avanzata nel
sacco bianco - disse lei, aprendo il rubinetto del lavandino.
Lui smise di masticare e rimase con il
boccone in bocca. - Non avrai preso quella farina di segale andata a male,
spero. È in un sacco bianco, appunto.
Maria non rispose subito. Guidava con il
palmo della mano il getto d'acqua per sciacquare il lavandino. Poi si girò -
No, stai tranquillo, ho preso la farina giusta. - Ma a lui parve di vedere sul
volto della donna un'ombra di dubbio, subito fugata.
- Quella può essere segale cornuta… fa male
- disse lui - devo ricordarmi di
buttarla via.
Maria si strinse nelle spalle. - Mia nonna
diceva che fa solo vedere cose che non ci sono.
Lui inforcò un altro boccone. Lo rigirò
sulla forchetta, poi se lo ficcò in bocca.
- Comunque è una delizia… e con questo
freddo è un buon mangiare.
- Tornerai per mezzogiorno? – volle sapere
Maria.
- Penso proprio di sì. Devo consegnare la
legna al Gosatti e… via, me ne torno subito a casa.
- Di questi tempi non è bello stare troppo
in giro.
- Puoi
ben dirlo, Maria.
- Magari passano i fascisti e ti scambiano
per un partigiano.
- Con il carretto?
- Quelli non vanno tanto per il sottile e se
vedono uno che non gli va a genio…
- Ma io ti sembro uno sospetto?
La donna sorrise. - No, tu no. Ma torna a
casa subito, hai capito?
- Ho capito, ho capito.
Giacomo addentò l'ultimo boccone.
III
- Giornata fredda, eh! - lo apostrofò Pino, un
vecchietto che abitava nell'ultima casa del paese. Portava un secchio con del
mangime per le galline.
- Ormai stiamo andando verso il peggio -
rispose Giacomo dal carro. Teneva le redini in mano e cercava di spronare il
suo ronzino, che quella mattina sembrava più pigro del solito. - Le giornate si
stanno accorciando e la brina non ci lascerà più.
- Vai a Tirano? – domandò l’anziano.
- Sì, devo consegnare questo carico di
legna: robinia e castagno.
Pino gli fece un gesto di saluto.
- Buona giornata anche a te.
Solo quattro chilometri e mezzo, ma con quel
carretto era sempre una bella passeggiata, andata e ritorno. Ma ce l'avrebbe
fatta in mattinata. Lo aveva promesso alla sua Maria.
Si mise sulla stretta carreggiata in terra
battuta che costeggiava l'Adda. Il carro procedeva lentamente, traballando qua
e là su ciottoli e avvallamenti del terreno. Ogni tanto sembrava scivolare di
lato per avere messo le ruote nei solchi induriti, prodotti dai traini del giorno
prima. Su quella stradicciola non passavano automobili, solo carretti, persone
a piedi o qualche animale. Alcuni giorni prima, in quel punto, era transitata
una motocicletta della Tot. Il soldato tedesco che la montava aveva occhialoni
scuri e sembrava divertirsi a correre sul terreno accidentato.
Giacomo procedeva lentamente da circa dieci
minuti, quando si accorse di provare una strana sonnolenza. Forse era il ritmo
monotono dell’andatura, o forse l'ondeggiare della coda dell'animale che
produceva una specie di ipnosi; fatto sta che lui si trovò ben presto a lottare
contro una voglia impellente di chiudere gli occhi.
Eppure quella notte aveva dormito bene, otto
ore filate.
La testa gli cadde sulle spalle. Subito si
riscosse, rendendosi conto che non riusciva più a resistere al sonno.
Cullato dal monotono cigolio del carro,
pensò che forse era tutta colpa del chiscio che gli aveva preparato la sua
Maria. Qualcuno poteva non digerire, di buon mattino, quella tipica frittela di
grano saraceno con croste di formaggio, fritta nello strutto. Ma lui era abituato.
Stava proprio per arrendersi alla
sonnolenza, quando udì, alle sue spalle, un rumore assordante. Sembrava il
ruggito di un grosso animale delle foreste africane.
Si riscosse dal torpore. Tenendo le redini
con una mano sola si girò e guardò in alto, nel cielo.
Un enorme uccello stava planando su di lui.
Sembrava una creatura uscita dalle pagine di una storia fantastica, l'orrida
bestia volante creata dalla mente di uno scrittore pazzo.
Passò veloce sopra di lui, sibilando. Poi
riprese quota, sopra le prime case di Tirano. Per un momento Giacomo, impietrito, ebbe la
sensazione che l'uccello virasse di lato per riabbassarsi su di lui, ghermirlo
con quegli artigli terrificanti che riverberavano al sole. Ma fu solo una fuggevole
impressione. Il mostro, sbattendo due enormi ali di pipistrello, continuava a
prendere quota verso il massiccio del Mortirolo.
- Ehi, del carro!
La voce veniva dal greto del fiume. Apparve
una figura di uomo con un cappellaccio a larghe tese. In mano teneva quella che
sembrava una canna da pesca. Era apparso da dietro un cespuglio di sambuco.
Il carro intanto si era arrestato. Il
pescatore si avvicinò.
- Per un momento ho avuto paura, sapete? –
disse il pescatore.
Giacomo era ancora stordito. Emise una
specie di grugnito. - Cos’era?
- Il Pippo. L'ho visto arrivare, d’improvviso.
Ho pensato che mitragliasse. Dicono che a volte tira su tutto quello che si
muove.
- Ma siete sicuro… Era proprio il P-Pippo?
- E cosa se no.
- Sbatteva le ali…
-
Come un uccello… Avete le traveggole?
- Chi, io?
- Siete bianco come un morto. E lo credo!
L'avete scampata bella. Sapete cosa vi dico?
- Che cosa?
- Toglietevi dalla strada – lo consigliò
il pescatore. - Quello può tornare, e magari…
- Avete ragione.
Spinto da una nuova energia spronò il ronzino
e cercò di percorrere il più velocemente possibile il tratto che gli rimaneva
prima di entrare nella cittadina. Nello stomaco gli danzavano i resti mal
digeriti del chiscio.
Che la moglie avesse usato farina guasta? La
segale cornuta?
Scacciò il pensiero e si concentrò sulla
strada.