Sì, contava solo ciò che
sentiva, nient’altro era importante, né le ferite né l’amarezza che lo
carezzava come un’amante mai sazia.
Se tutto quello era
accaduto, era perché qualcuno non aveva avuto alcun interesse ad evitarlo, anzi,
forse aveva voluto che accadesse.
Non c’era stato bisogno di altre
storie, era bastato solo che si facesse crescere bene il tarlo di dentro che
divora ogni soddisfazione, che rinsecchisce ogni amore, che urla il suo spasimo
di libertà e di addii.
Ed ora stava lì, ai bordi
estremi dell’isola, dove c’erano solo scogliere…nessuna spiaggia, nessuna
dolcezza. Né tramonti bruciati per un
finale da cartolina.
Solo lui, il suo silenzio,
la sua ormai quieta desolazione.
A volte si sorprendeva dei
suoi pensieri, a volte lo assalivano dolori incessanti, inquieti fra la testa e
lo stomaco – è il cuore, si diceva, che si rigurgita addosso quanto non riesce
ad assolvere o a dimenticare; è il mio cuore, non ancora stanco di quel volto,
di quel sorriso…
Ma poi ricordava quel viso
storpiato dal livore, crudo e insensibile come la lontananza delle sue parole.
Ricordava, e non avrebbe voluto.
Non c’era altro da fare che
tentare un respiro più forte, e dirsi con calma che tutto era già accaduto, e
che quanto sentiva ancora apparteneva solo alla sua vita.
Pianamente, con tentata
distanza, cercando di chiudere ogni porta, sopportando l’ora…
Il bisogno di dimenticare mi fa pensare che su questo breve frammento lirico potrebbe agire, in qualche modo, il Nietzsche della Seconda Inattuale. Sbaglio?
RispondiEliminaTommaso Di Brango
Errata corrige: non "lirico" (la narrazione è in terza persona).
EliminaTommaso Di Brango