mercoledì 18 maggio 2016

NOSFERATU di Giuseppe Novellino

 
Nel Campo della Rimembranza si poteva giocare, ma con qualche precauzione. Bisognava guardarsi dal vigile urbano che quasi sempre aveva qualcosa da ridire sul comportamento dei ragazzini. Quell’area verde, infatti, non era destinata al libero divertimento.
Tuttavia i giovanissimi non riuscivano a trattenersi. Per loro le siepi, il manto ghiaioso, i muretti, i quattro pini e i due cedri rappresentavano un invito a rincorrersi, ad arrampicarsi e a saltare. Soprattutto la chiesetta commemorativa, che occupava quasi tutto il lato orientale dell’area, esercitava su di loro una forte attrazione. Due cancelli laterali con lo scudo e tre lance incrociate (uno dei quali quasi sempre aperto) immettevano in una specie di cortiletto retrostante, pieno di sterpi e cespugli incolti. Quel luogo recondito era una vera tentazione, se non altro perché dagli addetti comunali veniva considerato zona off limits. Ma la cosa che più incuriosiva era l’accesso a un seminterrato il cui perimetro coincideva con quello della costruzione.
Elisabetta e Lorenzo erano seduti sui gradini davanti al portale di bronzo che immetteva nella cappella. Con loro c’era anche un ragazzetto un po’ più grande, di nome Fabio.
- Sapete chi è Nosferatu? – domandò quest’ultimo.
- Nosfe… Chi? – fece Lorenzo. Il nome non gli suonava del tutto estraneo. L’aveva già sentito. – Ah, sì – aggiunse subito, -  alla televisione… Anche tu, Elisabetta?
La bambina scrollò le spalle, il viso imbronciato.
- Nosferatu è una creatura delle tenebre – disse Fabio con enfasi. – Se ne sta al buio e, quando meno te l’aspetti, ti salta addosso e ti succhia il sangue.
Lorenzo fece una risatina nervosa. – Ah, ecco… un vampiro. Ma i vampiri sono solo nei film, anche in quelli che si vedono alla tele.
- Non è il caso di Nosferatu – sentenziò il ragazzo più grande. - Quello esiste veramente. Lo possiamo trovare anche qui. – Esitò un momento, accentuando l’espressione di arcano. – Forse anche nel sotterraneo di questa chiesetta.
La bambina aveva raccolto le gambette nude e teneva i ginocchi contro il mento. Adesso sembrava intimidita. Da oltre il muro, che separava il Campo della Rimembranza dal collegio di Santa Croce, arrivò, portato dalla brezza, un odore di minestrone. Un clacson cominciò a suonare in modo insistente: era di una Topolino, ferma accanto al marciapiede. Il proprietario teneva la portiera aperta e premeva nervosamente il mozzo del volante per chiamare qualcuno.
- Tu le spari un po’ grosse – disse Lorenzo.
Fabio sputò lontano. – Scommettiamo?
- Ma cosa vuoi scommettere! – cercò di tagliar corto Lorenzo.
- Voglio andare a casa – disse Elisabetta. – Manca poco alla cena.
Il sole non era ancora tramontato. La bella sera di maggio offriva ancora uno scampolo di luce.
- Dì piuttosto che hai paura – buttò lì Fabio, lanciando a Lorenzo un’occhiata di traverso.
- Paura di cosa?
- Di andare nel sotterraneo della chiesa e attraversarlo tutto.
- Per vedere se incontro Nosferatu?
- Non si sa mai.
Elisabetta balzò in piedi. – Io vado a casa. Non mi piacciono questi discorsi.
A Lorenzo, invece, in un certo senso piacevano. Era abbastanza attirato dai misteri e anche dalle sfide.
- E tu – disse dopo un momento di silenzio, - non hai paura? Di andare nel sotterraneo, dico.
L’altro stette un po’ a pensare, poi rispose: - Di andare nel sotterraneo no, ma di Nosferatu sì.
- Ma fammi il piacere!
- Lo so che potrebbe non esserci… ma non è detto. Nosferatu amerebbe un posto come quello. Lo sai che cosa ci sta dentro la chiesa? Le ossa dei caduti.
- Lo so. Ma che c’entra?
- C’entra, c’entra! Te lo dico io.
- Io vado – disse Elisabetta. – Mi fate paura. – Saltò tre gradini della scalinata e atterrò sulla ghiaia.
- Okay – fece Lorenzo. – Dì alla mamma che arrivo presto anch’io.
- La tua sorellina è proprio una fifona – commentò Fabio.
- Lei non c’è mai andata nel sotterraneo. Non è un posto per le bambine di sette anni.
- Ma nemmeno per quelli di nove – disse Fabio, alludendo a Lorenzo.
Quest’ultimo si alzò in piedi lentamente. – Bene, ti sfido.
- Chi, tu?
- Sì, io.
Il ragazzetto più grande, di anni ne aveva undici. Secondo Lorenzo, era uno sbruffone e amava spararle grosse per impressionare i più piccoli, che poi disprezzava senza pietà.
- Io sono pronto ad attraversare tutto il sotterraneo – disse Lorenzo -  e non ho paura di questo Nosferatu. - Ebbe l’impressione che il compagno più vecchio fosse impallidito. Ma forse era la luce languida del sole morente.
- Tu sei pazzo! – disse Fabio.
- No, mi sa che sei tu il fifone.
- Ehi, dico… - fece quello alzandosi in piedi.
Lorenzo aveva la netta sensazione di tenerlo in pugno. Gli era balenata l’idea che poteva in qualche modo umiliarlo. Delle due l’una: o quello avrebbe fatto una brutta figura, rinunciando all’impresa, oppure sarebbe stato sbugiardato circa le sue frottole su Nosferatu.
- Forza, allora, andiamo nel sotterraneo – fu la sfida di Lorenzo.

C’era stato solo un paio di volte. Invece Fabio, a suo dire, vi si era infilato spesso, e con grande coraggio.
Effettivamente il luogo era tetro. Un cancelletto cigolante immetteva in una stanza fiocamente rischiarata da una feritoia. Poi si passava in un’area completamente buia e da questa in un terzo locale che presentava lo stesso tenue chiarore del primo, prodotto da un’apertura analoga e simmetrica. Il primo vano era sotto il lato sud del tempietto, il terzo sotto il lato nord, il centrale (quello cieco) in corrispondenza dell’altare. L’inquietudine di un eventuale visitatore era prodotta dal locale di mezzo. Lorenzo ricordava di averlo attraversato una volta, di corsa, e di avere provato un vero terrore.
Scesero i tre gradini infestati dagli sterpi e spalancarono il cancelletto in ferro battuto.
- Vai avanti tu? – fece Lorenzo.
- Certo, fifone.
Dentro si respirava un’aria umida e stantia che sapeva di polvere e di muschio.
Lorenzo si sentiva calmo e stranamente coraggioso. Forse era la voglia di sfidare quell’arrogante cacciaballe, sempre pronto a spaventare i più piccoli.
- Andiamo insieme… o uno alla volta? – domandò. Prima che il compagno aprisse la bocca, Lorenzo intuì la risposta.
- Insieme.
Fabio se la faceva sotto, era evidente. Di tutta la sua spavalderia era rimasto ben poco.
Si accostarono a quella specie di porta priva di battenti, che immetteva nella camera più buia. Si intravedeva il debole chiarore provocato dall’altra feritoia che inondava con la sua scarsa luce il terzo locale.
- Fino in fondo, allora… e ritorno – propose Lorenzo.
- S…sì – disse Fabio con voce incerta. Poi, con più forza: - Andiamo!
Erano sulla soglia, sull’orlo dell’antro buio. In quelle tenebre poteva celarsi di tutto.
Qualcosa si piazzò davanti alla feritoia, là in fondo, oscurandola. Poi si udì una specie di grugnito e una fiammella si accese, che illuminò un volto, fluttuante nell’oscurità.
- Aaah! – urlò Fabio.
- Nosferatu – uscì dalla bocca di Lorenzo.
Fu un attimo di paralisi, poi i due ragazzi si precipitarono verso la porticina d’accesso, salirono i tre gradini spintonandosi, attraversarono l’incolta vegetazione e raggiunsero il cancello grande. Corsero sulla ghiaia del parco fino al marciapiede che correva lungo uno dei suoi lati.
- Che fate, ragazzi? – Era la voce di un vigile che passava in quel momento in bicicletta.
Ansavano ed erano bianchi per lo spavento.
Lorenzo stava per dire qualcosa, indicando la chiesetta, ma Fabio gli diede una gomitata. Tacque. Non poteva dire al vigile che erano scesi nell’interrato.
- Avete in mente qualche diavoleria, eh? – disse ancora l’agente. – Su, andate a casa che i vostri genitori vi aspettano per la cena.
Il sole era tramontato, l’aria s’era fatta più fresca. Pochi veicoli transitavano nella via.
Dopo che il vigile se ne fu andato, i due rimasero a lungo in silenzio. Lo ruppe Lorenzo:
- Chi c’era là sotto?
- Nosferatu – rispose Fabio con voce rotta. Poi, acquistando più sicurezza, aggiunse: - Che ti dicevo? Avevo ragione, sì o no?
Ma Lorenzo non lo stava ascoltando. Allungò un braccio in direzione del cancello che immetteva nel retro del tempietto. – Guarda!
Stava uscendo un uomo, con una giacchetta informe e i calzoni rattoppati. Sulla testa portava un cappellaccio a larghe tese che doveva essere sudicio e unto. Si guardava intorno con sguardo furtivo. Poi accostò il cancello dietro di sé. In bocca teneva un mezzo sigaro e con quello mandava nuvole di fumo azzurrognolo tutt’intorno al viso ricoperto da una barba ispida e rossiccia.
- Ma è Tonio, il mendicante di Albosaggia! – gridò Fabio con una note isterica.
- Già, Tonio. Si è ficcato là sotto forse per farsi un pisolino in solitudine. – Dedicò uno sguardo al compagno. – Altro che Nosferatu!
- Ma allora, la sua faccia…
- In quel momento si era illuminata perché aveva acceso il toscano – fu il realistico commento di Lorenzo.
L’uomo si era accorto della loro presenza. Fece un gestaccio come per mandarli a quel paese. Poi sistemò la sacca sulle spalle e si avviò con passo pesante sulla ghiaia del Parco della Rimembranza.

 

 

Nessun commento:

Posta un commento