Ci
sono due tipi di leggende: uno, di origine molto remota, parla di fate, draghi
e principesse. Queste storie si raccontano ai bambini per tenerli buoni dentro
casa nelle giornate di pioggia o la sera a letto per farli addormentare. Le
leggende del secondo tipo sono di origine più recente e trattano di argomenti
vari, si bisbigliano nei bar, per strada, al mercato. Trieste, come tutte le
regioni italiane, è ricca di leggende dell'uno e dell'altro tipo, ma quella che
ora vi racconterò appartiene decisamente al secondo.
L'epoca
in cui si svolge rimane piuttosto imprecisata, ma era suppergiù quella in cui i
triestini e gli abitanti del Litorale si definivano ancora “Dele vece (delle
vecchie) province”, sebbene “le nuove” che l'Austria aveva acquisito col
Congresso di Vienna se ne fossero andate da un pezzo, una prima parte nel 1859,
il rimanente nel 1966.
Era
più o meno l'epoca in cui un certo professor Giacomo Zois (1) era venuto a
Trieste dall'Irlanda per insegnare inglese alla Berlitz School, e qui si era
trovato fra i suoi allievi uno più anziano degli altri, un certo Ettore Schmitz
(2), di età vicina alla sua, e diventato presto suo amico e compagno di
bisbocce, che incoraggiò a intraprendere la carriera letteraria.
Il
professor Zois, tanto per capire che tipo fosse, appena giunto nella stazione
di Trieste e smontato sulla banchina del treno, trovò modo di essere coinvolto
in una rissa, e in seguito era possibile trovarlo a tarda sera dalle parti di
via Crosara duro come un scalin, come si dice dalle nostre parti, ossia
reso dall'alcool della stessa consistenza di un elemento architettonico atto a
costruire rampe e altri mezzi per salire, ma questa è una storia che magari vi
racconto un'altra volta.
Trieste
ha fatto parte dell'impero austriaco fino al 1918. Fino a un secolo fa, i
legami fra Trieste e l'Austria erano importanti e numerosi. La storia, che
risale a quell'epoca, narra di un commerciante triestino, che chiameremo Bepi (Giuseppe)
Frausin, che si era dovuto recare a Vienna per affari. Bepi conosceva il
tedesco come in genere lo conoscono i triestini che, come tutti sanno, sono
poliglotti nati.
Dopo
aver sbrigato il suo affare, e poiché rimaneva ancora diverso tempo prima di
riprendere il treno per Trieste, Bepi Frausin decise di fare un giro per la
città. Mentre camminava, Bepi incrociò un altro triestino, Toni (Antonio)
Ulcigrai (3), impiegato dell'imperial-regio governo, che era stato mandato
nella capitale per un corso di aggiornamento. I due non si conoscevano e non
avevano nessuna idea di essere concittadini.
A
un certo punto, Toni Ulcigrai gridò:
“Auge,
Auge!”
(“Occhio,
occhio! Attenzione!”, ma in tedesco non si usa, si dice Achtung!).
Le
sue parole furono subito seguite da un forte fracasso.
“Was ist geboren?”, chiese Frausin.
(“Cosa
è nato? Cosa è successo?”, ma in tedesco si dice Was ist los?)
“Ein
Dunkel ist gefallen von viertel Klavier”, rispose Ulcigrai.
(“E'
caduto uno scuro – un'imposta – dal quarto piano”, cioè letteralmente: E'
caduto un buio dal quarto pianoforte”).
Allora
Bepi Frausin esclamò:
“Deine
Griechische Mutter!”
(“To
mare grega” - “Quella greca di tua madre!” - tipica imprecazione triestina
(4) ).
A
questo punto, i due si riconobbero per concittadini, e decisero di andare a
bersi una birra insieme.
Toni
Ulcigrai decise poi di accompagnare fino alla stazione il suo nuovo amico.
Arrivati
nell'atrio della stazione, i due si imbatterono in un tabellone che diceva:
“Fahrplan
fuer Personenzuege” (“Orario treni passeggeri”).
Bepi
Frausin chiese a Ulcigrai, che era a Vienna da più tempo di lui, di
tradurglielo.
E
Toni, pronto:
“Far
pian che le persone ziga” (“Fare piano, che le persone urlano”).
Non
si sa come, nonostante l'aiuto di Ulcigrai, alla fine Bepi Frausin riuscì a
salire sul treno che lo riportò a Trieste.
Mentre
saliva sulla carrozza che lo riportava a casa, Bepi Frausin non poté
trattenersi dal pensare che, si Vienna era una gran bella città, ma che i
viennesi erano gente strana, e il soggiorno viennese doveva aver reso un po'
strano anche Toni Ulcigrai.
Note:
1.
James Joyce.
2.
Italo Svevo
3.
Frausin, Ulcigrai: cognomi
tipici triestini, ovviamente, per motivi di privacy, non sono quelli originali.
4.
Secondo un'altra leggenda
locale, questa espressione sarebbe nata in seguito a un soggiorno di Ugo
Foscolo nella città giuliana.
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