martedì 22 marzo 2016

UN INCONTRO di Paolo Secondini

Eri solo una cucciola quando ti trovai, della razza canina che più preferisco: quella bastarda.
Il muso poggiato sulle zampe, te ne stavi acciambellata nel fosso dove t’avevano lasciata.
Avevi vicino dei tozzi di pane e un recipiente con acqua, perché colui che t’aveva abbandonato – poverino! – non voleva soffrissi la fame, né la sete, in quel torrido mese d’agosto.
Quando ti vidi mi venne spontaneo chiamarti Bella, forse anche per sopperire, con quel nome, alla tua simpatica bruttezza. Una cagnetta graziosa non eri infatti, ma mi piacesti ugualmente… Mi piacquero molto i tuoi occhi grandi, marroni; il tuo modo intenso di guardare, che suscitava nel cuore un senso di dolcezza; il tuo frenetico scodinzolare allorché, per la prima volta, sentisti la mia voce:
«Vieni qua, Bella! Non aver paura… Non voglio farti alcun male.»
Indugiasti un attimo solo, poi ti accostasti, la testa bassa, guaendo sommessamente: credo di gioia o, forse, di timidezza.
Restando piegato sulle ginocchia, ti arruffai il pelo sul dorso con una carezza vigorosa. Tu, allora, ti avvicinasti ancora di più e poggiasti il muso sulla mia coscia. Sentii il caldo della tua lingua che leccava l’altra mia mano.
«Su, Bella!» dissi ancora alzandomi. «Vieni con me, da brava!»
In principio non ti muovesti, anzi arretrasti un poco: avevi ancora paura.
Presi a incitarti, a rassicurarti, a parlarti. E di certo cogliesti nella mia voce qualcosa di molto suadente, qualcosa di nuovo che fino ad allora non avevi sentito in un essere umano: l’amore.
«Su, Bella!» dissi di nuovo. «Seguimi! Ti porto a casa.»
Andai avanti.
Mi venisti dietro.

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