lunedì 29 agosto 2016

IL NUMERO OTTO di Sandra Carresi


Otto era stato il voto ambito alle superiori; otto era il giorno della nascita di sua moglie e di suo figlio, in un mese e in un anno diversi; otto era stato il giorno in cui aveva celebrato il suo unico matrimonio e ancora otto era il suo numero civico nonché il suo preferito.
Bello, tondo con due pance, infondeva sicurezza e serenità, ma forse non questa volta.
Il suo intervento chirurgico era stato programmato proprio l’otto di maggio.
Lui, ormai avanti con gli anni, non stava bene, tuttavia doveva subire quell’intervento alla prostata, ingrossata con l’invecchiamento e da poco aggravata seriamente.
Si trovava in una cameretta d’ospedale a quattro letti e all’inizio, spaventato per l’intervento del giorno seguente, fra purghe e medicinali, non aveva fatto caso, ma quando si alzò per andare in bagno, lesse il numero sopra il lettino: 888.
Turbato, e ancora più spaventato e fragile pensò:
“Ormai non ho più dubbi, domani non supererò l’intervento e chiuderò la mia partita con la vita, il giorno 8 di uno splendido Maggio.”
Era talmente sicuro di questo che la sera prima recitò le sue preghiere e raccomandò la sua anima al Creatore, pregandolo di essere, con lui, indulgente.
Il sole entrava sfacciato in quella cameretta linda e in quel momento solo un lettino era occupato. Un uomo anziano dormiva; al braccio la flebo in vena scorreva lenta e precisa.
L’infermiera entrò con passo leggero, toccò la fronte dell’anziano e sottovoce, voltando la testa verso la porta, disse alla collega:
 “La febbre è passata, finalmente! E’ molto strano, l’intervento è andato bene, ma è subentrata una febbre alta ed insolita e il paziente ha sempre dormito.”
Fu a questo punto che l’uomo aprì gli occhi e vedendo il viso sorridente dell’infermiera, le chiese:
 “Che giorno è oggi? “
L’infermiera rispose che era il 9 di Maggio, aggiunse che l’intervento era andato bene e che ieri aveva dormito tutto il giorno e che si era svegliato solo in quel momento.
L’anziano sorrise e pensò:
 “Sono tornato alla luce, da oggi in poi, il mio giorno preferito, sarà il numero 9.”
Poi, voltando la testa, si addormentò per sempre.
Forse il numero 8 si era solo distratto, forse si era impermalito sulla preferenza dell’anziano al numero successivo, chissà….
Il mistero dei legami coi numeri, unica cosa certa nella vita, ma forse, non proprio così matematica come pensiamo che siano.

 

 

 

martedì 23 agosto 2016

NELL’UFFICIO DEL GIUDICE THAYER di Paolo Secondini

Tribunale di Dedham – Massachussetts. Ufficio del giudice Webster Thayer. 1921.
«Vostro Onore, non c’è stata una sola prova che abbia dimostrato la colpevolezza del mio assistito Bartolomeo Vanzetti,» disse l’avvocato Jeremiah McAnarney, sporgendosi alquanto sulla poltrona.
«Affermo lo stesso per Nicola Sacco, che ho difeso in sostituzione di Freddie Moore,» gli fece eco William Thompson, con un sigaro avana tra le labbra.
«La polizia,» aggiunse McAnarney, «ha trovato nelle tasche di Sacco e Vanzetti, al momento del loro arresto, due pistole che non hanno sparato neppure un colpo, e alcuni volantini denuncianti la miseria degli operai nelle grandi periferie di Boston e di New York. Non mi sembrano prove schiaccianti, queste, come invece i giurati hanno ritenuto, da giustificare una condanna a morte. Non solo, ma alcuni testimoni hanno decisamente scagionato i due imputati. Mi domando perché sono stati considerati inattendibili.»
Il pubblico ministero Frederick Katzmann, che pure fumava un sigaro cubano, fece sentire la sua voce roca.
«E in base a quali elementi la giuria popolare avrebbe pronunciato, secondo voi, il verdetto di colpevolezza? Pregiudizio politico, forse?»
Thompson si voltò a guardarlo, sbuffando una nube di fumo del suo partagàs.
«È evidente,» rispose, «che Sacco e Vanzetti sono due capri espiatori, signor Katzmann.»
«Ne siete convinto?»
«Io sono convinto, invece,» si intromise il giudice Thayer, inarcando un sopracciglio, «che la loro condanna ha fatto giustizia due volte. Infatti, oltreché per il crimine commesso, sono stati puniti, sebbene in maniera del tutto casuale, per lo spirito anarchico e rivoluzionario.»
Sedeva dietro la sua scrivania, le mani intrecciate sull’addome, spostando lo sguardo dall’uno all’altro dei due avvocati della difesa.
«Vostro Onore,» replicò Jeremiah McAnarney, «Bartolomeo Vanzetti ha capeggiato scioperi di operai miranti a ottenere salari più decenti e migliori condizioni di lavoro. Ma non è un sovversivo, perché mai, in nessuna circostanza, ha attentato alle leggi o istituzioni del nostro Paese.»
«Né lo ha fatto il mio assistito Nicola Sacco,» disse per conto suo William Thompson.
«Signori, signori!» esclamò Frederick Katzmann, alzando il tono della voce. «Dimenticate che il 15 aprile 1920, nella cittadina di South Braintree, Stato del Massachusetts, è stato commesso un duplice omicido…»
«Vittime Frederick Parmenter e Alessandro Berardelli,» si intromise il giudice Thayer, «rispettivamente cassiere e guarda giurata del Calzaturificio Slaster and Morrill, presso cui Nicola Sacco aveva lavorato come operaio per lungo tempo.»
McAnarney si alzò di scatto dalla poltrona e, rosso in viso, si avvicinò alla scrivania del giudice Thayer.
«Vostro Onore,» disse con voce vibrante, «vi ripeto che mancano prove a carico di Bartolomeo Vanzetti.»
«E anche di Nicola Sacco,» fece William Thompson.
Frederick Katzmann scrollò la testa. Aveva sulle labbra un sorrisetto ironico.
«Sono stati ritenuti responsabili e condannati alla sedia elettrica,» disse. «È del tutto inutile, signori, continuare a discutere su questo caso. Ammiro il vostro temperamento, ma non mi pare ci sia altro da aggiungere.»
«Tranne che il processo,» osservò McAnarney, tornando a sedersi in poltrona, «è stato chiaramente condizionato dalla politica del terrore di Mitchell Palmer, procuratore generale degli Stati Uniti d’America.»
Il giudice Thayer, con una espressione severa nello sguardo, batté un pugno sul piano della scrivania.
«Signor McAnarney,» disse subito dopo, rosso in viso dalla collera, «non accetto da voi insinuazioni su quanti hanno fatto il loro dovere, vale a dire poliziotti, testimoni, giurati, pubblico ministero e il sottoscritto. Non ha il diritto di dubitare dell’assoluta correttezza e obiettività del processo appena concluso.»
«Vostro Onore, non era mia intenzione mancare di rispetto né a voi né ad altri,» ribatté Jeremiah McAnarney. «Tuttavia non vi nascondo la mia amarezza per come le cose sono andate. Ho l’impressione che Sacco e Vanzetti, come poc’anzi affermava il collega della difesa, siano stati due agnelli sacrificali, la cui condanna persegue…»
«Un chiaro intento repressivo contro i nemici, o presunti tali, degli Stati Uniti d’America,» si intromise Thompson. «Dichiarare colpevoli Sacco e Vanzetti si è reso necessario per scongiurare…»
«Che cosa, signor Thompson?» chiese il giudice Thayer, sporgendosi avanti sulla scrivania e tremando visibilmente nella persona. «Scongiurare il propagarsi del comunismo nel nostro Paese? La cosiddetta “paura rossa”? È questo che intendete? Se anche fosse, io penso che sia prioritario e fondamentale il bene assoluto della nostra Nazione. Credo che la condanna di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti sia stata espressione di coraggio, di lealtà e spirito di patriottismo dei dodici membri della giuria popolare.» Sbuffò leggermente, poi: «Signor McAnarney, avete altro da aggiungere?»
«Vostro Onore, a questo punto vorrei che quanti hanno giudicato colpevoli i nostri assistiti ricordassero per sempre le parole di Bartolomeo Vanzetti. Leggo testualmente: Io non auguro a un cane, né a un serpente, né alla creatura più vile della Terra, ciò che ho sofferto per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che sono perseguitato, e quindi soffro, per quello di cui sono fiero di essere: un radicale e un italiano
 

 

venerdì 12 agosto 2016

Il GRANDE DIVIETO di Peppe Murro

Abbassò lo sguardo e cercò un respiro più profondo.
In fondo quella era la sua terra, anche se non ne capiva a fondo regole e costumi: non riusciva a trovare senso al Grande Divieto, alla sua terribile brevità ed al mistero delle sue infinite punizioni.
Esso consisteva solo in due negazioni: il Gesto Interdetto e la Frase Proibita. Entrambi rappresentavano l'universo di ciò che non poteva essere fatto e detto, ogni altra cosa era consentita. E l'ologramma globale mostrava ogni momento gente felice di obbedire a quell'unico tabù.
Sentiva, in quell'angolo di scogliera, il salmastro del vento entrargli nei
polmoni assieme ad una strana e dolcissima quiete. Non voltò lo sguardo, ma si figurava con esattezza il velo d'ansia e di speranza di quel volto, la trepidazione dell'attesa, l'identico suo pulsare del sangue alle tempie.
Chissà perché erano felici i suoi simili in quel mondo di piacere e di gioia quasi obbligatori, chissà perché non sentivano mordere dentro la mancanza di quanto era stato proibito...!
Scosse la testa. E d'altronde non riusciva a capire neppure il perché del Grande Divieto, né le ragioni del primo che lo aveva imposto: sembrava non ci fosse storia, tutto era un mistero accettato tranquillamente senza alcuna domanda. Forse bastava a tutti quella felicità diffusa per legge, forse qualcuno aveva avuto i suoi stessi pensieri, ma era stato punito col silenzio, come se non ci fosse mai stato.
In un modo o nell'altro, si disse guardando le rocce, vite negate. o forse tutte le vite erano state negate.
Uno scroscio marino più forte, schizzi leggeri nell'aria...
Si volse a guardarla, vide i suoi occhi più cupi del mare. Qualcosa dentro gli si scatenò come un terremoto di dolcezza e desiderio: fu allora che fece il Gesto Interdetto, le carezzò il viso.
E disse la Frase Proibita: "ti amo".