venerdì 1 novembre 2019

ASPETTANDO AURELIA di Giuseppe Novellino


     Aspettavano Aurelia per la cena.
     Quella sera di ottobre doveva venire lei a casa di Giuseppe, perché era malato. Una brutta tracheite lo aveva costretto a prendere tre giorni di congedo per malattia. Ma alle 19.20 non si era ancora fatta viva. Mezz’ora prima Giuseppe aveva telefonato alla Scuola Infermieri, nel caso fosse rimasta sul posto di lavoro per qualche problema. Niente. Aveva risposto la direttrice, dicendo che Aurelia era andata a casa regolarmente poco prima delle 18.00.
     Perché, dunque, non  si faceva ancora vedere?
     Giuseppe era sulle spine.
     La ragazza non aveva il telefono nell’appartamentino in via Don Bosco. E lui non poteva muoversi di casa per la malattia.
     – Vedrai che arriverà – cercava di tranquillizzarlo la madre.
     – Ma sapeva che saremmo andati a tavola a un quarto alle otto. Non è da lei fare questo ritardo.
     Giuseppe non riusciva a stare fermo. Ciabattava da un locale all’altro con grande nervosismo. Ogni tanto guardava dalla finestra, con la speranza di vedere la sua ragazza camminare sul vialetto.
     – Perché non arriva? – disse tra sé a voce alta, scostando per l’ennesima volta la tendina. Poi la tosse lo costrinse a sedersi sul divano.
     – Quasi vado a vedere se è a casa sua – fece dopo un po’, alzandosi di scatto.
     – Non fare fesserie – lo avvertì suo padre. – Ti verrebbe una polmonite.
     – Ma vado con la macchina…
     La mamma si affacciò sulla porta della cucina. Aveva una faccia preoccupata, forse più per lo stato del figlio, che per il ritardo della ragazza. Disse a sua volta:
     – Avrà avuto qualche contrattempo.
     – Ma perché non mi ha avvisato? – disse Giuseppe con un tono esasperato. – Io il telefono ce l’ho in casa.
     Era veramente in ansia. Cominciava a fare brutti pensieri. Si sentiva abbandonato da quella ragazza con la quale si era fidanzato da un paio di mesi. Troppo poco tempo per un legame solido. Forse lei si era dimenticata dell’appuntamento perché cominciava ad essere stanca di lui. Eppure il giorno prima si erano lasciati con un bacio tenero e lunghissimo. Lei gli teneva le braccia intorno al collo e lo guardava con una passione che le rendeva luminosissimo lo sguardo.
     In quel momento suonarono alla porta.
     Giuseppe si precipitò ad aprire.
     La figura sorridente del fratello Lorenzo gli procurò una fitta di delusione.
     – Sto tornando a casa adesso dall’ospedale (era medico da poco assunto come assistente) e ho pensato di farvi un salutino. Anna (la moglie) mi ha detto che ceneremo solo verso le otto e mezza perché è andata a Poggi, dai suoi.
     – Allora cadi a proposito! – esclamò Giuseppe.
     Gli chiese se poteva andare a casa di Aurelia, per vedere se erà là.
     Lorenzo apparve imbarazzato. – Ma mi farai fare una brutta figura. O, meglio, la farai tu. Se la trovo, s’intende.
     – Già – rincarò papà – le farai prendere coscienza della tua debolezza.
     – Non mi interessa – sbottò Giuseppe. – Confesso di essere agitato, ma non è da lei comportarsi così. Forse le è successo qualcosa.
     – E se non la trovo in casa? – domandò Lorenzo.
     Giuseppe rabbrividì e non rispose.
 
     Arrivarono insieme mezz’ora dopo. La cena era pronta in tavola e si stava raffreddando.
     Lei era raggiante, bella più che mai. Gli si buttò al collo e gli sussurrò in un orecchio:
     – Mi sono addormentata sul divano.
     Poi Giuseppe venne a sapere tutto, dal resoconto che il fratello fece con un pizzico di divertimento.
     Si era trovato davanti alla porta semiaperta. Aveva chiesto permesso, senza ricevere alcuna risposta. Allora era entrato. Solo una lampada era accesa nel piccolo soggiorno. Aurelia era rannicchiata sul divano e dormiva. Era vestita di tutto punto, pronta per uscire.
     – Già – soggiunse lei. – Ero stanca morta. Avevo lavato i capelli e mi ero cambiata. Ma poi, vedendo che era ancora presto, mi sono messa un po’sul divano… e mi venuto un colpo di sonno.
     Gli altri risero di gusto.
     Giuseppe sospirava.