Aspettavano Aurelia per la cena.
Quella sera di ottobre doveva venire lei a
casa di Giuseppe, perché era malato. Una brutta tracheite lo aveva costretto a
prendere tre giorni di congedo per malattia. Ma alle 19.20 non si era ancora
fatta viva. Mezz’ora prima Giuseppe aveva telefonato alla Scuola Infermieri,
nel caso fosse rimasta sul posto di lavoro per qualche problema. Niente. Aveva
risposto la direttrice, dicendo che Aurelia era andata a casa regolarmente poco
prima delle 18.00.
Perché, dunque, non si faceva ancora vedere?
Giuseppe era sulle spine.
La ragazza non aveva il telefono nell’appartamentino
in via Don Bosco. E lui non poteva muoversi di casa per la malattia.
– Vedrai che arriverà – cercava di
tranquillizzarlo la madre.
– Ma sapeva che saremmo andati a tavola a
un quarto alle otto. Non è da lei fare questo ritardo.
Giuseppe non riusciva a stare fermo.
Ciabattava da un locale all’altro con grande nervosismo. Ogni tanto guardava
dalla finestra, con la speranza di vedere la sua ragazza camminare sul
vialetto.
– Perché non arriva? – disse tra sé a voce
alta, scostando per l’ennesima volta la tendina. Poi la tosse lo costrinse a
sedersi sul divano.
– Quasi vado a vedere se è a casa sua –
fece dopo un po’, alzandosi di scatto.
– Non fare fesserie – lo avvertì suo
padre. – Ti verrebbe una polmonite.
– Ma vado con la macchina…
La mamma si affacciò sulla porta della
cucina. Aveva una faccia preoccupata, forse più per lo stato del figlio, che
per il ritardo della ragazza. Disse a sua volta:
– Avrà avuto qualche contrattempo.
– Ma perché non mi ha avvisato? – disse
Giuseppe con un tono esasperato. – Io il telefono ce l’ho in casa.
Era veramente in ansia. Cominciava a fare
brutti pensieri. Si sentiva abbandonato da quella ragazza con la quale si era
fidanzato da un paio di mesi. Troppo poco tempo per un legame solido. Forse lei
si era dimenticata dell’appuntamento perché cominciava ad essere stanca di lui.
Eppure il giorno prima si erano lasciati con un bacio tenero e lunghissimo. Lei
gli teneva le braccia intorno al collo e lo guardava con una passione che le
rendeva luminosissimo lo sguardo.
In quel momento suonarono alla porta.
Giuseppe si precipitò ad aprire.
La figura sorridente del fratello Lorenzo
gli procurò una fitta di delusione.
– Sto tornando a casa adesso dall’ospedale
(era medico da poco assunto come assistente) e ho pensato di farvi un salutino.
Anna (la moglie) mi ha detto che ceneremo solo verso le otto e mezza perché è
andata a Poggi, dai suoi.
– Allora cadi a proposito! – esclamò
Giuseppe.
Gli chiese se poteva andare a casa di
Aurelia, per vedere se erà là.
Lorenzo apparve imbarazzato. – Ma mi farai
fare una brutta figura. O, meglio, la farai tu. Se la trovo, s’intende.
– Già – rincarò papà – le farai prendere
coscienza della tua debolezza.
– Non mi interessa – sbottò Giuseppe. –
Confesso di essere agitato, ma non è da lei comportarsi così. Forse le è
successo qualcosa.
– E se non la trovo in casa? – domandò
Lorenzo.
Giuseppe rabbrividì e non rispose.
Arrivarono insieme mezz’ora dopo. La cena
era pronta in tavola e si stava raffreddando.
Lei era raggiante, bella più che mai. Gli
si buttò al collo e gli sussurrò in un orecchio:
– Mi sono addormentata sul divano.
Poi Giuseppe venne a sapere tutto, dal
resoconto che il fratello fece con un pizzico di divertimento.
Si era trovato davanti alla porta
semiaperta. Aveva chiesto permesso, senza ricevere alcuna risposta. Allora era
entrato. Solo una lampada era accesa nel piccolo soggiorno. Aurelia era
rannicchiata sul divano e dormiva. Era vestita di tutto punto, pronta per uscire.
– Già – soggiunse lei. – Ero stanca morta.
Avevo lavato i capelli e mi ero cambiata. Ma poi, vedendo che era ancora
presto, mi sono messa un po’sul divano… e mi venuto un colpo di sonno.
Gli altri risero di gusto.
Giuseppe sospirava.